I lupi cattivi esistono

– Scritto l’8 Dicembre 2019

Wolf howling at the full moon

Ciao, sono Raffaele, e questa è la mia storia.

Nella vita concreta ho sofferto molto e non sono mai stato particolarmente fortunato, ma quella che più di tutte è sempre stata la mia caratteristica determinante è la mia totale mancanza di ambizione. Non ho mai avuto interesse verso il denaro, la carriera o la notorietà: già da piccolo ero l’unico a non alzare la mano, in classe, alla domanda su chi volesse diventare famoso; non ho mai desiderato avere chissà quale gran lavoro e tutto quello a cui ho sempre aspirato è semplicemente un piccolo onesto stipendio che mi permetta di sostentarmi e di togliermi una soddisfazione ogni tanto.
Che poi, sai che grandi soddisfazioni… Sono un tirchiaccio di prim’ordine, spenderei qualcosa giusto per andare a vedere qualche partita e per un viaggetto ogni tanto.
Ah, e magari anche un giorno avere una famiglia, ma a quello visti i miei costantemente inesistenti successi in campo amoroso avevo già rinunciato da tempo.

Solo una cosa mi stava particolarmente a cuore: restare vicino a ciò che mi aveva accompagnato (e a cui mi ero aggrappato) nei momenti di difficoltà di un’infanzia e un’adolescenza rovinose.
Tanto era grande, quel mio sogno, da essere disposto da subito a plasmargli la mia vita attorno; così rilevante, quel mio desiderio, da far passare in secondo piano ogni altro mio impegno.
E, per un po’, ci ero anche riuscito.

Da ormai diversi anni, in qualche modo, ero diventato parte attiva dello Zecchino d’Oro. Non si trattava un ruolo chissà quanto basilare, ma a me bastava e rendeva felice, e tutto ciò che desideravo per gli anni a venire era soltanto poter continuare ad apportare quell’aiuto, ancorché minimo.
E non solo. Stavo cucendo ad esso ogni mio passo.
Come città per studiare avevo scelto – di certo non a caso – Bologna, mentre il mio desiderio di rimanere da queste parti era stato rinvigorito dalla clamorosa e assolutamente inaspettata sorpresa di aver trovato una ragazza (io, una ragazza? ma deliriamo?), per giunta pure emiliana, e avvalorato dall’acquisto, da parte della mia famiglia, di una piccola casetta in città in cui avrei potuto, quantomeno inizialmente, continuare a costruire la mia felicità.
Per la prima volta, nella mia vita, avevo una precisa idea di come si sarebbe dovuto concretamente sviluppare il mio futuro.
E in fondo cosa sarebbe mai potuto andare storto? Proprio come in una favola o in una canzone per bambini, è vero che esistono anche i lupi cattivi. Ma poi, anche fosse, sarebbe comunque arrivato l’eroe buono a far rientrare la storia sui binari dell'”e vissero tutti felici e contenti”.

Invece…

L’avevo fiutata – già da mesi per altro -, ma l’ufficialità della mia esclusione è stato un colpo tremendo che proprio non potevo riuscire ad assorbire.
Arrivato al termine di un periodo di mesi in cui eventi nefasti, e la disperazione da essi provocata, mi avevano messo prepotentemente in ginocchio, togliermi via l’unica cosa concreta al mondo di cui importava realmente qualcosa mi ha definitivamente buttato a terra.
Letteralmente.
Ancora una volta, pur non credendo di meritarlo, non ero stato apprezzato da nessuno.
Non solo non avevo più voglia di alzarmi dal letto; non riuscivo più, ad un certo punto, nemmeno a camminare per le vie di questa città, tanto era il dolore che essa mi aveva provocato. Più volte ho rischiato di svenire, desiderando soltanto di essere altrove anziché al tappeto come ero, sul pavimento di una biblioteca bolognese.
Non mi era stato soltanto strappato un sogno. Mi era stato portato via il futuro.
Tutto il mio mondo mi era crollato addosso come, se non peggio, che nella notte di un terremoto.
E io posso dirlo, ho vissuto entrambi.

Sono dovuto scappare. Ho lasciato la casa, abbandonato temporaneamente l’università, ho smesso di scrivere ai miei amici e ho preso il primo autobus verso l’altrove di cui avevo bisogno.
E non quello di casa a L’Aquila o della mia famiglia (quella è solo la storia di un altro dramma), ma l’unico che mi avrebbe potuto donare quel po’ di serenità di cui necessitavo per poter tornare a respirare. Sono fuggito di colpo in Germania, nel Paese in cui risiedono le uniche due entità (ventennali) capaci di potermi donare della gioia. Più precisamente, in questo caso, sono scappato a Berlino, luogo d’adozione dell’ultima arrivata di esse, ma sicuramente già la più potente: la mia meravigliosa ragazza Alessia.

Avevo bisogno, per una volta, di prendermi cura di me stesso, e con il suo mastodontico aiuto sono riuscito a stare meglio, dopo un po’ di tempo.
Ma una cosa era inevitabilmente cambiata: verso Bologna e soprattutto verso lo Zecchino d’Oro provavo ormai solamente una totale repulsione.
E se nel primo caso sono bastate le Sardine a rifarmi innamorare, nel secondo probabilmente non è servita nemmeno la mia più potente volontà.
Ma come, nonostante un sentimento tanto profondo? Nonostante tutti i suoi significati?
Sì.
Tradito e deluso da ciò su cui avevo sempre potuto fare affidamento, avevo perso ogni motivo per poter ancora ricorrergli in caso di necessità.

Ciononostante ho provato a combattere e convincermi: non dovevo lasciare che le decisioni di pochi annullassero ogni mia scintilla d’amore, non potevo permettere che un’ingiustizia mi portasse via la vita. Quando mai si è vista una favola in cui è il lupo cattivo a trionfare?
E così, forzandomi in ogni momento e completamente controvoglia, ho finito per comprare un biglietto e prendere l’aereo per tornare, almeno per quei giorni che, almeno teoricamente, sarebbero dovuti essere di festa.

Invece, l’abisso.
Una sensazione di smarrimento.
Non avrei dovuto essere lì.
Tre volte mi sono avvicinato al posto in cui aveva luogo lo Zecchino e quattro volte ho pianto (e non sto esagerando), torturato dall’esserci davanti senza poterne essere parte.
Il dover pure pagare un biglietto per entrare al teatro-cinema, dopo tutti questi anni, un dolore così immane e quasi 1000 chilometri percorsi è stato un metaforico schiaffo in faccia, ma non ciò che ha provocato la mia reazione.
Non erano lacrime di rabbia, le mie, e stavolta nemmeno, come invece era solito essere, lacrime positive di gioia immensa e di riconoscimento e ringraziamento delle emozioni. Bensì, solo quelle di una depressione inconsolabile dovuta all’aver perso ogni cosa che mi era cara.
La rosa si era appassita, trafitta dalle punte di ghiaccio di un inverno raggelante.

Assurdo ripensarci. Immediatamente dopo aver toccato l’apice della felicità con una foto col coro, dell’onore con un articolo da me scritto per Antoniano Onlus, e dell’esultanza dopo la vittoria del quiz sull’ambiente al saggio di fine anno, il fondo.
Mi sento vuoto, svuotato, privato della possibilità di provare null’altro che non sia un immenso dolore e senso di disagio ed ingiustizia.
Ma io posso davvero permettere che qualcosa che mi ha sempre regalato grande gioia ora mi dia solo una sofferenza incalcolabile? Ha davvero senso continuare a forzarmi di cercare di sentire lo stesso sentimento di prima? Certo, era inequivocabilmente più profondo di quello provato da chiunque altro coinvolto nel progetto, ma se ora è oscurato dall’ombra infausta della delusione e del tradimento potrà mai tornare a risplendere come un tempo?

Non lo so, questo.
Davvero non lo so ed al momento non sono in grado trovare una risposta positiva.

Quello che so, semplicemente, è che questa è la mia storia. E che non tutte le storie hanno necessariamente un lieto fine.
A volte vincono anche i lupi cattivi.

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